Voglio ricordare don Luigi Sturzo per le cose che fece come protagonista della vita civile e politica del nostro Paese più che come sacerdote. La Chiesa ha infatti già provveduto a riconoscerne i grandi meriti attraverso la scelta di beatificarlo promuovendo di fatto la sua scelta di prete che ha fatto politica non più come un impedimento, ma come esempio del suo attaccamento al messaggio evangelico. Luigi Sturzo è stato sindaco della mia città, Caltagirone, per 15 anni per l’esattezza pro-sindaco per evitare terminologicamente d’incappare nella proibizione che la legge comunale e provinciale poneva nel divieto ai ministri di culto di ricoprire l’incarico di sindaco. Nei confronti di una figura come Sturzo non solo le disposizioni del codice civile vennero derogate ma anche quelle del codice canonico, che vietavano ai preti di essere eletti in qualsiasi istituzione rappresentativa, vennero disapplicate. Già da giovane Sturzo rifiuta status e lusso che la sua famiglia possono permettergli. Conosce la prostrazione dei contadini, degli artigiani e degli operai della sua terra e da prosindaco si adopera per dare risposte concrete alle tante esigenze dei suoi cittadini, specialmente i più deboli. Per Sturzo l’articolazione della struttura istituzionale e politica ha come base il Comune, che non è ente delegato dallo Stato ma è cellula primigenia della società. L’impegno contro la corruzione e contro il fenomeno mafioso è per Sturzo fondamentale. La lotta contro la criminalità mafiosa e le sue connivenze con il mondo dell’economia, dell’amministrazione e della politica emerge già in un articolo del 21 gennaio 1900 nel periodico da lui diretto, La Croce di Costantino, intitolato: “Mafia”. E continuò questo impegno per tutta la sua vita considerandolo come un capitolo essenziale della sua battaglia per la moralizzazione della vita pubblica.
Come scrive Monsignor Michele Pennisi, Arcivescovo di Monreale, grande studioso di Sturzo:
“Sturzo sostiene che per combattere le varie mafie si tratta di comprenderne la presenza non innanzitutto e solo come problema di sottosviluppo economico, ma come un problema culturale, morale e religioso. La mafia potrà essere sconfitta attraverso un profondo cambiamento di mentalità, un “riarmo morale” che porti a non idolatrare il denaro e la violenza e a ritrovare il nesso indispensabile che deve legare morale, economia e politica.”

Tanto è stato scritto sul ruolo di Sturzo come deputato e fondatore del Partito Popolare nel primo dopoguerra e di senatore a vita nel secondo dopoguerra, dopo aver conosciuto l’esilio negli Usa per volontà di Mussolini che desiderava tenere lontano un intransigente oppositore di una così elevata statura morale. Voglio ricordare a noi tutti che il suo pensiero era, da credente, per la laicità della politica e dello Stato, tanto da esprimere dissenso rispetto alla scelta della Chiesa Cattolica di firmare i Patti Lateranense con il regime fascista, elevando la religione cattolica a religione di Stato.
A 100 anni dal suo manifesto politico, quell’appello ai liberi e forti che fu alla base del primo Partito Popolare, il pensiero di Sturzo resta fecondo come una inesauribile miniera da cui anche la politica di oggi può attingere per rinnovarsi e ritrovare legittimità tra i nostri cittadini
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